Savarese, lo scrittore-magistrato che esplora la sfida del limite

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Nasce da un’esperienza di vita che dura da oltre dieci anni “Le cose di prima”, l’ultimo romanzo dello scrittore e magistrato napoletano, Eduardo Savarese, pubblicato negli ultimi mesi dello scorso anno da Minimum Fax. A partire dal 2008, infatti, ogni lunedì mattina, per un’ora e mezzo, Savarese tiene un laboratorio di scrittura creativa con giovani con diversi tipi di disabilità motoria presso l’associazione A ruota libera, il cui presidente è quello stesso Luca Trapanese che recentemente ha descritto nel volume “Nata per te. Storia di Alba raccontata fra noi” (Einaudi) la sua esperienza di genitore adottivo, single, cattolico e gay, di una bambina con sindrome di Down.

“La disabilità è entrata a fare parte del mio vissuto, cambiando per sempre il mio modo di percepire la vita, la malattia e la morte - spiega Savarese -. Nelle persone con disabilità percepisco spesso una certa autocensura e difficoltà a liberare la propria fantasia. All’interno del laboratorio mi interessa spingere i partecipanti ad andare al di là del semplice sfogo, inventando qualcosa di diverso da quello che siamo. È difficile per tutti, ovviamente, ma a volte le persone con disabilità, per la condizione che vivono, hanno ancora più difficoltà”.

E proprio da questa riflessione sui limiti, a volte oggettivi a volte autoimposti, che nasce l’idea del romanzo. “Le cose di prima” racconta, infatti, la vicenda di Simeone, un giovane colpito da distrofia muscolare, nel passaggio dalla fine della scuola superiore al principio dell’età adulta. Sensibile, appassionato di canto e affamato della vita, Simeone abita a Napoli con la madre Elide, divorato dalla struggente nostalgia per il padre Thomas, un ex ingegnere della Nato di origini siriane che, dopo aver abbandonato il figlio, va in Medio Oriente per aiutare la comunità cristiana di lingua aramaica in Siria. “Mi piaceva l’idea di un personaggio molto giovane e molto malato, che però riesce a superare i propri limiti, come quando ha una relazione sentimentale con una donna affascinante e famosa o quando, verso la fine della storia, parte da solo per Gerusalemme alla ricerca del padre”, dice lo scrittore.

“Senza il laboratorio di scrittura non avrei potuto scrivere questo romanzo”, prosegue Savarese. “Simeone – precisa – è un personaggio dallo statuto quasi eroico, che si confronta costantemente con il limite, portando gli altri personaggi del romanzo a confrontarsi a loro volta con i propri limiti”. Non si tratta però di quello stesso “eroismo” chiamato in causa sempre più spesso dai media quando si parla di persone con disabilità e che, altrettanto spesso, sono le stesse persone con disabilità a rifiutare. Simeone non sfida i campioni olimpionici, non aspira a diventare uno scienziato di fama, non punta a scalare l’Everest. La sua vita interiore si muove tra la malinconia per un’esistenza necessariamente breve e l’urgenza di sperimentare a pieno tutto ciò che questa stessa esistenza può offrire. 

“Non ho una visione della disabilità pietistica, ma non ammetto neppure la negazione di quelle specifiche sofferenze e limitazioni che essa comporta – chiarisce l’autore –. Bisogna avere il coraggio di chiamare le cose con il proprio nome: negare le differenze non fa parte del principio di uguaglianza, ma allo stesso tempo le differenze non devono diventare un handicap nell’handicap. Simeone non si confronta soltanto con il limite, connaturato peraltro alla dimensione umana, perché se ti metti mentalmente e fisicamente in movimento sono tante le possibilità che si aprono”.

L’incontro con il mondo della disabilità, infine, ha arricchito Savarese non solo come scrittore, ma anche come uomo. All’interno dell’associazione, per esempio, sono nate amicizie con persone che avevano malattie degenerative implacabili. “Osservo costantemente la malattia e la morte, dimensioni che non voglio né rinnegare né fuggire – sottolinea lo scrittore –. La negazione di questa realtà è uno dei problemi del mondo contemporaneo”. Ma nel mondo della disabilità esiste anche tanta “leggerezza” e “freschezza di sguardo”: “Ho raggiunto una visione più profonda e semplice delle cose – conclude –. Ogni lunedì, quando vado in associazione, mi rimetto con i piedi per terra”.

(Fonte: Corriere della Sera – Art. di Elena Tebano)

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