Anche la solidarietà può essere virale

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Un articolo pubblicato da Avvenire durante la prima fase della pandemia diventa un utile termine di paragone per un raffronto sulla condizione degli “invisibili”, con la situazione attuale, alle soglie della tanto auspicata “Fase 2” (R.R.).

Anche la solidarietà può essere virale, almeno quanto il Covid-19. Sono giorni di appelli, di richieste urgenti, di mobilitazione da parte di chi rischia di restare solo, non soltanto nella zona rossa. «I nostri figli esistono sempre, anche in questa situazione di emergenza, con gli stessi bisogni di prima» scrive Marialba Corona, presidente di Angsa Bologna, l'associazione che riunisce genitori di persone con autismo. L'hashtag che ha lanciato è chiaro. «Dateci gli educatori a domicilio». Quel che accade in Emilia è solo un aspetto di una vicenda drammatica che ha 'contagiato' tutto il Nord, dalla Brianza al Veneto. 

È l'emergenza sociale dimenticata, dentro il dramma silenzioso del coronavirus, a preoccupare intere comunità. Il risvolto positivo, in tutto questo, è che si stanno diffondendo soluzioni "dal basso", per aiutare i cittadini in difficoltà a superare le limitazioni imposte dalla necessità di contenimento dell'epidemia. Sono tante le persone già di per sé fragili, o comunque bisognose di servizi di welfare: famiglie, anziani, lavoratori precari, disabili.

Tra denunce e paure

«Ancora una volta siamo invisibili» ha scritto Marialba, mamma che rappresenta le famiglie con bimbi autistici. «Questi alunni hanno bisogno di lavorare ogni giorno con personale altamente formato, per non perdere le competenze acquisite in anni di fatica». Cose banali per gli altri ragazzi, difficili conquiste per loro. Non solo: i genitori hanno terminato ore e permessi. Non possono lavorare da casa, perché è impossibile concentrarsi su altro, con un ragazzo autistico accanto. Non possono affidarsi ad aiuti di nonni o babysitter, perché «non sono in grado di gestire la situazione». 

Anche gli anziani fanno i conti con la paura. In particolare, ieri dalla zona rossa è risuonato un duro sfogo via social di Alessandra, cittadina di Codogno. Qui ci sono «genitori con figli disabili e figli con genitori anziani con l'alzheimer che non hanno più il supporto dell'infermiera o delle badanti», nonché «persone con problemi di salute che esulano dal virus». In una città come Bologna, invece, i centri diurni sono rimasti aperti e i servizi per la non autosufficienza sono garantiti, essendo per lo più domiciliari. Tuttavia, sono limitati gli aspetti di tipo aggregativo e ricreativo, che sono comunque importanti per gli anziani fragili e soli, essendo un 'termometro' utile a tenere sotto controllo il benessere dell'anziano. Per questo i centri sociali per la terza età restano aperti, nel pieno rispetto delle ordinanze emanate. «Siamo un antidoto alla paura» spiega il presidente di Federcentri, Andrea Celani.

Nodo educatori

Chi si occupa dei soggetti con fragilità è fermo. Non può lavorare, perché scuole e asili nido sono chiusi. «Ma l'emergenza non è nata per colpa nostra» spiegano in un video educatori e operatori sociali delle cooperative di Milano, Monza e Lodi. Retribuiti a poco più di 8 euro all'ora, non percepiscono alcuno stipendio in questi giorni, causa pausa forzata dal lavoro. Non facendo servizio, la loro cooperativa non può fatturare ai Comuni. Un problema che riguarda migliaia di persone, per cui sono già allo studio ammortizzatori sociali, a partire dalla cassa integrazione. 

Di difficile attuazione anche l'idea degli educatori a domicilio per le persone più fragili. L'assistenza domiciliare ai minori è un'altra voce non coperta in queste settimane dagli enti locali. «Per la prima settimana ci hanno garantito lo stipendio, ma dovremo recuperare le ore non svolte. Per la seconda settimana ancora non si sa nulla. Ma le ore a recupero diventerebbero tantissime: perché dobbiamo essere ancora una volta lavoratori di serie B rispetto ai dipendenti pubblici?» osservano alcuni educatori bolognesi.

Le buone pratiche

Sempre dal basso arrivano i provvedimenti per venire incontro ai genitori che lavorano, durante la sospensione dell'attività didattica: è il caso delle Acli di Bologna, che hanno organizzato un baby-sitting sociale. «Abbiamo tanti giovani volontari che lavorano nelle scuole e che sarebbero stati a casa in questi giorni» spiega il Presidente, Filippo Diaco. Dunque, hanno deciso di «mettersi a disposizione gratuitamente dei figli dei dipendenti e dei soci, in piccoli gruppi, per rispettare le ordinanze: un bel gesto, non comune tra ragazzi giovanissimi, come sono loro» spiega Diaco. E sempre 'dal basso' nascono gruppi di mutuo aiuto di e per mamme che lavorano. L'idea è di Nicole Traini e Carlotta Berionni, responsabili a livello locale del progetto europeo Families Share, che non nasce per far fronte all'emergenza, ma in questo momento trova piena utilità. Grazie ad un'App apposita vengono messe in contatto famiglie del territorio, «per aiutarsi a vicenda e ricreare spirito di comunità», dicono: aspetto quanto mai utile di fronte ad un'epidemia che separa e allontana fisicamente le persone. 

A Casatenovo, nel Lecchese, il Comune ha voluto dare un segnale di attenzione, stabilendo che il Cse, il Centro Socio Educativo che garantisce servizi alle persone disabili e fragili, potrà organizzarsi «attraverso l'erogazione di prestazioni al domicilio o nel territorio di residenza degli utenti per evitare la concentrazione di presenze presso la sede del centro stesso». Di più: verrà predisposto «un piano di intervento individuale» da realizzarsi a domicilio o comunque in situazione di garanzia. La decisione del sindaco, si spiega, va «considerata all'interno dell'ottica di tutelare le persone in condizione di maggiore fragilità assistenziale e sanitaria».

(Fonte: Avvenire)

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